I pirati dell’epoca d’oro possono essere definiti anarchici?
Innanzitutto è necessario dare indicazioni sul periodo storico che si è soliti intendere e chiamare “epoca d’oro della pirateria”, ovvero un periodo di tempo che si estende dal 1650 e trova il suo culmine nel 1730. Ma chi è il pirata, se non principalmente un nemico della sua civiltà? Infatti il primo carattere che emerge nell’analisi socio-culturale della figura del pirata è la sua profonda e radicata alienazione nei confronti degli aspetti che caratterizzano la società europea della sua epoca.
Questo totale rifiuto delle pratiche e dei caratteri della società europea del loro tempo si riflette ed è facilmente individuabile nell’assetto sociale delle navi pirata; un assetto sociale totalmente opposto a quello che caratterizzava la società ed il mondo a cui, i pirati, hanno apertamente dichiarato guerra, staccandosene e scegliendo di vivere lontano da qualsivoglia forma di autoritarismo, gerarchia e controllo nazionale. I pirati sceglievano di vivere in una comunità libera priva di fissa dimora, che trovava nel mare la dimensione perfetta per lo sviluppo dell’autonomia e della libertà, poichè da sempre il mare incarna lo spazio libero per eccellenza, uno spazio sottratto al controllo degli stati-nazione, di cui i pirati si erano dichiarati radicalmente nemici.
Possiamo definire le comunità pirata “società senza Stato”? Certamente e, rifacendoci all’analisi dell’antropologo libertario Pierre Clastres, possiamo sostenere che, come per molte comunità primitive e selvagge, i pirati sceglievano consapevolmente di privarsi dell’entità statale e di evitare che essa potesse emergere creando divisioni e diseguaglianze all’interno del corpo sociale. Perciò, così come le società primitive amerindiane studiate da Clastres, le comunità pirata erano, non solo, prive di Stato, bensì contro di esso. Infatti i numerosi studi storici ed antropologici sulle comunità pirata hanno evidenziato sempre il loro carattere fortemente democratico e fondato sull’egualitarismo. Possiamo definire, come già fatto in uno scorso articolo, le comunità pirata come uno dei primi contesti storici in cui si è sperimentata una forma di democrazia diretta e libertaria, creando appunto “spazi di improvvisazione democratica”, in cui la libertà, l’uguaglianza e un forte senso comunitario erano la regola e la base dell’organizzazione sociale. Anche per questo allcuni hanno definito la società pirata “l’istituzione più democratica del diciassettesimo secolo”.
Lo storico Marcus Rediker ha individuato tre caratteristiche principali che stavano alla base dell’organizzazione sociale egualitaria e democratica delle comunità pirata. Innanzitutto lui individua come valore fondamentale il collettivismo, ovvero una coesione collettiva emersa in forte opposizione al capitale e creata in aperta opposizione alla logica capitalistica della cooperazione fondata sul raggiungimento del profitto. Inoltre questo collettivismo era un arma di autodifesa nei confronti dell’autorità e dall’oppressione esterna.
Il secondo carattere che evidenzia è il profondo antiautoritarismo presente in tutte le comunità pirate del diciassettesimo secolo. Questo forte antiautoritarismo si traduceva nel radicale rifiuto di ogni gerarchia, di ogni autorità e sullo stretto controllo del capitano da parte di tutta la ciurma, poichè, sempre citando Rediker, “il capitano era la creatura del suo equipaggio”, per evidenziare maggiormente la sua natura di chieftainship priva di autorità, il tipico “capo senza potere” delle società primitive amerindiane. Infine come ultimo carattere fondante la comunità pirata Rediker sottolinea il marcato egualitarismo che si traduceva in enfasi per la cooperazione, la reciprocità, per la generosità rispetto all’accumulazione e alla mutualità, tutte pratiche che non solo impedivano l’emergere di gerarchie a bordo della nave, ma servivano a scongiurare la diseguaglianza economica e sociale che sarebbe stata un forza disgregante per il corpo sociale pirata.
Per concludere, riprendiamo la domanda iniziale con cui si è aperta questa analisi delle comunità pirata, e proviamo a darne una risposta: I pirati dell’epoca d’oro erano davvero anarchici? Se per anarchici intendiamo la consapevole ricerca di realizzare degli ideali sociali di eguaglianza e giustizia universali, allora molto probabilmente le comunità pirata non erano anarchiche, poichè non presentavano alcun ideale sociale estensibile all’esterno della propria comunità. Se invece per anarchici intendiamo il rifiuto di ogni forma di autorità, dello Stato-Nazione e la volontà di vivere al di fuori del controllo del Leviatano come forma di opposizione, critica e lotta, allora le società di pirati del XVII secolo incarnano alla perfezione il concetto di Anarchia.
Dopo tutto l’ “utopia” pirata di creare spazi e comunità egualitari, libertari e democratici, privi e contrari ad ogni forma di autoritarismo, cosa sarebbe se non, citando Chris Land, “un esperimento di organizzazione democratica in forme radicali e anarchiche che era esplicitamente contrapposto ai sistemi autoritari convenzionali dell’epoca”?
http://altrarealta.blogspot.it/2016/09/i-pirati-uomini-liberi-in-lotta-con.html
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