Cangemi aveva 50 anni e soffriva di problemi di salute, tanto che i familiari avevano più volte chiesto che venisse trasferito ai domiciliari. Niente da fare, nonostante fosse in carcere solo per coltivazione di cannabis, senza essersi macchiato di alcun crimine violento, il giudice gli ha sempre negato la detenzione a casa, fino alla morte avvenuta venerdì scorso.
Un fatto che getta una nuova ombra sul sistema carcerario italiano e sull’assurda repressione che subiscono i crimini non violenti, in particolar modo se legati alla droga. Non sappiamo (le cronache non lo riportano) quale fosse stata la colpa dell’uomo, né se avesse coltivato due o duemila piante. L’assurdo è che per la legge non fa differenza e la pena prevista va comunque dai 2 ai 6 anni di reclusione. È ancor più intollerabile, inoltre, che un uomo debba morire in carcere in questo modo, a prescindere dal reato commesso.
Secondo quanto raccolto dal quotidiano Il Dubbio, la procura ha messo sotto sequestro la cartella clinica dell’uomo ed è stata aperta un’inchiesta disponendone l’autopsia. Ma a finire sotto indagine dovrebbero essere anche le modalità con le quali la famiglia dell’uomo è venuta a conoscenza del suo decesso.
Infatti, secondo l’ordinamento penitenziario in caso di decesso, le autorità devono immediatamente informare il coniuge, il convivente o il parente più prossimo. Invece i familiari non sono stati avvertiti e hanno ricevuto la terribile notizia nel giorno del colloquio. Secondo la direzione del carcere la notizia l’avrebbero dovuta dare i carabinieri. Comunque sia, non è stata rispettata la prassi.
http://www.dolcevitaonline.it/arrestato-per-coltivazione-di-cannabis-muore-dinfarto-in-carcere/
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