venerdì 16 dicembre 2016
Quante canne bisogna riuscire a fumare per andare in overdose?
Per la cannabis invece non esiste un solo caso accertato dalla scienza di overdose mortale. Nessuno in tutta la storia. Ma esiste un massimo di cannabis tollerabile dall’organismo? In altre parole, è tecnicamente possibile averne un overdose?
La domanda se la pose la Dea, cioè l’agenzia federale antidroga americana, quasi 30 anni fa. La risposta è in un documento datato 6 settembre 1988, ad oggi ancora l’unico documento ufficiale sul tema.
«La dose mediana letale della marijuana – si legge nel documento – è di circa 1: 20.000 o 1: 40.000. In termini concreti, ciò significa che, per indurre la morte un fumatore di marijuana dovrebbe consumare da 20.000 a 40.000 volte la quantità di marijuana che è contenuta in uno spinello. Un fumatore dovrebbe quindi consumare quasi 1.500 chili di cannabis in circa quindici minuti per indurre una risposta letale.
Il responso dell’agenzia antidroga americana fu quindi chiaro ed incontrovertibile: morire di overdose di cannabis è tecnicamente impossibile, almeno che non esista qualcuno in grado di fumare una tonnellata e mezzo di erba in quindici minuti.
http://www.dolcevitaonline.it/quante-canne-bisogna-riuscire-a-fumare-per-andare-in-overdose/
giovedì 15 dicembre 2016
UN MAGICO ESERCIZIO DA FARE DAVANTI ALLO SPECCHIO
“...Vi state guardando allo specchio?
Ma siiii, che discorso.
Mentre vi state facendo un trucco di una bellezza inaudita oppure vi state raschiando le setole con una lametta.
Cosa pensate che stia facendo lo specchio quando non siete in casa?
Pensate che fosse un pezzo di vetro riflettente, e basta?
Lo pensate davvero?
Non ci credo, ma ammetto che ciò è possibile.
Vi avverto. Non fate ciò che vi dirò adesso in presenza degli altri.
Per la vostra sicurezza.Aspettate di essere soli in casa o chiudetevi nel bagno.
Guardate la vostra faccia. Guardatela e basta. Senza emettere giudizi. Senza uno scopo.
E ora ditele a voce alta, con sentimento: “Ti amo e ti amerò sempre!” Stoooop!
Avete distolto lo sguardo?
Lo fanno tutti. Si capisce.
Ditelo ancora. E ancora.
Ditelo ai vostri occhi: “Vi amo e vi amerò sempre”.
Fatelo non meno di tre volte al giorno. Meglio prima di uscire di casa. Anche prima di dormire. E qualche altra volta. E’ più difficile confessare l’amore a se stessi che ad un'altra persona.
Ma ne vale la pena!
Vi accorgerete che il vostro riflesso vi risponderà con un amore reciproco.
Quando non siete in casa, lo specchio conserva ciò che gli avete detto prima di uscire.
Vive la sua vita.
Legatevi a lui con i fili dell’amore umano.
Vi ritornerà moltiplicato.
Ed è meglio non farlo vedere agli altri, perché in quei momenti siete troppo denudati, siete troppo vulnerabili”.
Ma siiii, che discorso.
Mentre vi state facendo un trucco di una bellezza inaudita oppure vi state raschiando le setole con una lametta.
Cosa pensate che stia facendo lo specchio quando non siete in casa?
Pensate che fosse un pezzo di vetro riflettente, e basta?
Lo pensate davvero?
Non ci credo, ma ammetto che ciò è possibile.
Vi avverto. Non fate ciò che vi dirò adesso in presenza degli altri.
Per la vostra sicurezza.Aspettate di essere soli in casa o chiudetevi nel bagno.
Guardate la vostra faccia. Guardatela e basta. Senza emettere giudizi. Senza uno scopo.
E ora ditele a voce alta, con sentimento: “Ti amo e ti amerò sempre!” Stoooop!
Avete distolto lo sguardo?
Lo fanno tutti. Si capisce.
Ditelo ancora. E ancora.
Ditelo ai vostri occhi: “Vi amo e vi amerò sempre”.
Fatelo non meno di tre volte al giorno. Meglio prima di uscire di casa. Anche prima di dormire. E qualche altra volta. E’ più difficile confessare l’amore a se stessi che ad un'altra persona.
Ma ne vale la pena!
Vi accorgerete che il vostro riflesso vi risponderà con un amore reciproco.
Quando non siete in casa, lo specchio conserva ciò che gli avete detto prima di uscire.
Vive la sua vita.
Legatevi a lui con i fili dell’amore umano.
Vi ritornerà moltiplicato.
Ed è meglio non farlo vedere agli altri, perché in quei momenti siete troppo denudati, siete troppo vulnerabili”.
Advanced Mind
La via del Transurfer - https://faregruppo.blogspot.it
La via del Transurfer - https://faregruppo.blogspot.it
mercoledì 14 dicembre 2016
La Magica Rivoluzione degli anni 60
La Magica Rivoluzione degli anni 60
A partire dalla metà del secolo scorso, in America e in seguito in tutta Europa, si manifestò una sorta di nuovo rinascimento della filosofia, della letteratura, dell’arte e della musica. Negli anni ’50, la cultura beat aprì la strada alla cultura hippie: eclettica, unificatrice e gioiosa, di ispirazione filosofica orientale e neoplatonica, che fiorì negli anni ’60 e si protrasse fino agli inizi degli anni ’70.
Le radici di tale rinascimento attingono, tuttavia, all’Europa della fine dell’Ottocento e della prima metà del secolo successivo.
In risposta al dilagare dell’industrializzazione, e dunque di un progressivo estraniamento dell’uomo dalla natura, alcuni giovani, per mezzo del nudismo, del vegetarianesimo, della riscoperta della vena panteistica insita nel neoplatonismo, nel paganesimo, nell’ermetismo e in alcune dottrine orientali, intrapresero un cammino controcorrente teso a ripristinare l’unità e la completezza primigenie, intuite come nostra più intima realtà.
Ma a ben vedere l’hippie viene da ancor più lontano; probabilmente egli apparve con il nascere delle città, intese quali luoghi in cui gli uomini si raggruppavano per difendersi da altri uomini aventi le medesime paure, aggressività, avidità e da una natura selvaggia ormai considerata pericolosa, estranea e caotica.
DIONISO E SHIVA - GLI DEI DEGLI "ANTISOCIALI":
Alain Daniélou, nella sua opera Siva e Dioniso - La religione della Natura e dell’Eros, sostiene, con argomenti di grande valore, l’esistenza di una “religione primordiale”, ovvero di una «antichissima sapienza, compendiata secondo i luoghi nei culti di Siva e di Dioniso»
Dioniso, come Siva, è un dio della vegetazione, dell’albero e della vigna. È anche un dio animale, un dio toro. Questo dio insegna agli uomini a irridere le leggi umane per ritrovare le leggi divine.
Il suo culto, che scatena le potenze dell’anima e del corpo, ha incontrato viva resistenza da parte delle religioni urbane che lo hanno considerato antisociale. Siva, come Dioniso, viene da esse rappresentato come il protettore di quanti si tengono lontani dalla società convenzionale».
Shiva, che racchiude in sé qualsivoglia antitesi (manifesto-immanifesto, erotismo-ascetismo, emanazione-riassorbimento, femminile-maschile) e il cui corpo è l’universo stesso, è il dio dell’ebbrezza e, in quanto tale, è il dio che gli hippie incontrarono in India.
Questi «[…] pensano che nell’ebbrezza dell’amore e dell’estasi risieda la vera saggezza, divenga possibile la comunione con la natura e gli dèi, mentre i calcoli e le frustrazioni che impongono le religioni della città isolano il mondo degli uomini dal resto del creato».
Ritroviamo l’antitesi natura-città anche nell’opposizione-complementarietà taoismo filosofico-confucianesimo.
Il taoista rifuggiva dalle città e dalle corti e, attraverso la non-azione, si apriva ad un’azione indefinibile, di natura superiore; il confuciano si dedicava alla politica in senso eminente. Nel loro evadere dalle prigioni delle città moderne, chi dunque potevano incontrare gli hippie - ritenuti, come del resto tutti gli occidentali, dei mleccha, degli “stranieri” barbari - se non il dio che, pur proteggendo l’ordine cosmico, ne contempla altresì il trascendimento?
Shiva, essendo la scaturigine dell’estasi, manifesta se stesso nella forma delle piante psicotrope, in particolare della ganja, da cui, secondo Daniélou, viene tratto il soma, la bevanda dell’immortalità. Un suo epiteto è infatti Somanatha, il Signore delle erbe sacre. Questa è la ragione per la quale molti sadhu shaiva passano attraverso la fase dell’assunzione di dette sostanze.
Non si dimentichi però che Shiva è pure il dio dello yoga, del tapas (“disciplina, austerità”) e della rinuncia, qualità che in lui non vengono mai a mancare, nemmeno nei momenti erotici o di ebbrezza indotti da piante di potere. A lui si ispirano i monaci e pressoché tutti gli ordini ascetici, poiché rappresenta il completo controllo dei sensi, e la suprema rinuncia all’identificazione nel transeunte.
Nell’ambito della mitologia shivaita, gli hippie, con il loro spirito iconoclasta e gioioso, richiamano in un qualche modo i Gana, di cui Ganapati, il dio dalla testa di elefante nato dal raschiamento della pelle di Parvati, shakti di Shiva, è il signore. «Nella tradizione sivaita i compagni del dio sono rappresentati come un gruppo di giovani stravaganti, avventurosi, delinquenti e sfrenati che vagano nella notte, urlano nella tempesta, cantano, ballano e fanno continui scherzi ai sapienti e agli dèi.
Sono chiamati Gana, i “ribaldi”. […] Incarnano la gioia di vivere, il coraggio, la fantasia che sono i valori della giovinezza.
Vivono in armonia con la natura
e si oppongono all’ambizione distruttrice
della città e al moralismo ingannatore
che la maschera e la esprime.
Questi delinquenti del cielo sono sempre
pronti a rimettere a posto i veri valori, a soccorrerere i folli di dio
perseguitati, a sbeffeggiare i potenti. Incarnano tutto ciò che spiace
e fa paura alla società borghese, e che è contrario alle buone usanze di una città civile e alle sue concezioni lenitive»
L’hippie aveva dunque ben poco a che vedere con l’immagine stereotipa che ci si è fatta di lui tramite l’informazione superficiale dei media e
la moda che ne è derivata; egli, infatti, non era un mendicante o un
drogato, non si identificava in nessuna corrente politica, intellettuale
o artistica e nemmeno lo si poteva definire propriamente un
contestatore, poiché non pretendeva, utopisticamente, di migliorare o
modificare la civiltà attuale, che, in quanto espressione estrema di avidya, l’ignoranza principiale, non può essere contestata o riformata, ma soltanto risolta alla radice.
In merito all’epiteto “drogato”, si noti come egli, da coraggioso esploratore degli spazi interiori qual’era, ritenesse che le sostanze psicotrope (dette comunemente droghe) fossero strumenti efficaci, quantunque assai pericolosi, per abbattere il muro dell’artificiosità dominante (in termini moderni "Matrix") e ritrovare uno stato di innocenza o di autenticità, e distingueva tra quelle che possono favorire benefiche illuminazioni spirituali e quelle che, nella vana pretesa di colmare la vacuità connaturata al divenire, ottundono la coscienza: eroina, televisione, consumismo, ecc.
Sotto l’etichetta “hippie” vennero spesso diffuse idee perniciose e nefaste, legate a questa o quella maschera ideologica dietro le quali si celava, e si cela, l’intento demoniaco di sviare o neutralizzare le autentiche aspirazioni alla Conoscenza e di privare l’uomo della sua dignità ontologica, riducendolo in uno stato di schiavitù, in cui la coscienza resta confinata nella sfera sensibile del corpo denso e di quello manasico (della mente automatica e reattiva).
Scrive assai appropriatamente Alain Danélou:
«Le forze oscure che sembrano governare il mondo moderno
danno prova di molta abilità nel distrarre, deformare e annientare tutti gli slanci degli uomini verso le realtà fondamentali,
verso l’ordine divino del mondo.
Non appena si profila uno spiraglio verso la luce,
è immediatamente gestito da coloro che hanno il compito
di snaturarlo, sfruttarlo, trasformare il benefico in malefico»
In India, l’indissolubile connessione tra spirito e natura viene simboleggiata dal linga poggiante sulla yoni. Il linga di Shiva è il fallo divino che contiene il seme dell’universo e di tutti gli esseri animati o inanimati.
Non ci si meravigli dunque che dell’hippie, inteso in senso sapienziale, si sappia ben poco: «Colui che ha la propria legge dentro di sé / cammina nel segreto. […] Colui che cammina nel segreto / ha una luce che lo guida / in tutte le sue azioni»
Essi desideravano tornare a vivere in comunità in cui si praticasse la cooperazione, la comunicazione (da cum-munire, “costruire insieme”) e il rispetto tra gli uomini e in cui ciascuno, invece di diventare questo o quello, a seconda dei bisogni della Macchina...
Ciascuno deve recitare come meglio può la parte che gli è assegnata nel gran teatro della creazione. La felicità dell’uomo e la sua sopravvivenza dipendono dall’attuazione del posto che egli occupa tra gli esseri viventi come specie e tra gli uomini come individuo»
Per contro, nella società occidentale moderna, se da un lato, come già detto, l’uomo si disfa della propria dignità ontologica, dall’altro assume uno spropositato senso dell’”io” soggettivo, contrapposto agli altri “io”. E tutti questi “io”, gonfiati di nulla, sbraitano e si agitano per la durata di alcuni secondi, litigando, ammazzando, rubando, distruggendo, inquinando, catalogando, lavorando e lavorando al servizio della Macchina (Il Sistema), prima di annichilirsi tra le braccia della morte.
The Summer of love (“l’estate dell’amore”) fu uno dei più importanti eventi della cultura Americana degli anni ’60; in tale occasione, tra l’altro, gli hippie celebrarono il proprio “funerale” come espressione di ribellione nei confronti della cultura ufficiale che premeva per inglobarli nell’establishment, trasfomando in merce e moda il loro movimento di idee e di aspirazioni; e ciò al fine di invalidarne e banalizzarne gli aspetti rivoluzionari.
Fonte e articolo completo: http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=28902
http://ilnuovomondodanielereale.blogspot.it/2016/12/la-magica-rivoluzione-degli-anni-60_13.html
lunedì 12 dicembre 2016
SIAMO AMICI ...
Io non desidero niente da te,
tu non vuoi nulla da me.
Io e te... dividiamo la vita.”
(Khalil Gibran)
Jusy Joss FB
http://divinetools-raja.blogspot.it La Via del Ritorno... a Casa
venerdì 9 dicembre 2016
Osho: UN MECCANISMO MERAVIGLIOSO
Quando occorre la mente, il testimone, l'uomo di meditazione, l'uomo di consapevolezza, è in grado di accenderla e spegnerla: quando vi parlo ho bisogno di accendere la mente, altrimenti il linguaggio non è possibile, la nonmente è silenziosa, non ha linguaggio. Solo la mente può fornire il linguaggio: devo usare la mente per relazionarmi con le vostre menti, è l'unico modo, quindi l'accendo.
Quando torno nella mia stanza la spengo, perché non ne ho bisogno.
Quando sei un testimone la mente permane, ma non lavora in continuazione. La tua identità con essa è spezzata: tu sei colui che osserva e la mente viene osservata. È un meccanismo meraviglioso che la natura ti ha donato, quindi puoi usarlo quando serve, come memoria, per i numeri di telefono, gli indirizzi, i nomi, i visi… è un ottimo strumento, ma niente di più."
Osho
http://divinetools-raja.blogspot.it/2016/12/un-meccanismo-meraviglioso.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+RInteriore+(R%C3%A8+Interiore)
giovedì 8 dicembre 2016
Le ricompense dell’infelicità
L’infelicità ha molte cose da darti, cose che la felicità non può darti. Di fatto, la felicità ti sottrae molte cose. La felicità ti porta via tutto ciò che hai sempre avuto e tutto ciò che sei sempre stato: la felicità ti distrugge.
L’infelicità nutre il tuo ego e
la felicità è fondamentalmente uno stato di assenza dell’ego. Questo è
il problema, il punto cruciale del problema. Ecco perché le persone
trovano tanto difficile essere felici.
Ecco perché nel mondo milioni di
persone devono vivere nell’infelicità… hanno deciso di vivere
nell’infelicità. Questa ti dà un ego estremamente cristallizzato. Se sei infelice, esisti. Se sei felice, non esisti. Nell’infelicità, sei cristallizzato – nella felicità ti espandi.
Se comprenderai questo, le cose ti
saranno lampanti. L’infelicità ti rende speciale. La felicità è un
fenomeno universale – non ha niente di speciale. Gli alberi sono felici,
gli animali e gli uccelli sono felici. L’intera esistenza è felice,
l’unica eccezione è l’uomo. Quando è infelice, l’uomo diventa davvero
speciale, straordinario.
L’infelicità ti rende capace di attrarre
l’attenzione degli altri. Ogni volta che sei infelice gli altri si
prendono cura di te, provano simpatia per te, ti amano. Tutti cominciano
ad accudirti. Chi mai vorrebbe ferire una persona infelice? Chi sarebbe
geloso di una persona infelice? Chi mai vorrebbe mettersi contro una
persona infelice? Sarebbe una cosa troppo perfida!
Ci
si prende cura di una persona infelice, la si ama, la si accudisce.
L’infelicità è un grande investimento. Se la moglie non è infelice, il
marito ha la tendenza a dimenticarsene. Se è infelice, il marito non può
permettersi di trascurarla. Se il capofamiglia è infelice, l’intera
famiglia – sua moglie e i suoi figli – gli stanno vicino, si preoccupano
per lui e gli danno un grande conforto. L’infelice non si sente solo,
ha una famiglia e degli amici. .
Quando sei depresso, malato, infelice –
gli amici vengono a farti visita per sollevarti il morale, per
consolarti. Quando sei felice, gli stessi amici diventano gelosi di te.
Quando sei realmente felice scopri che il mondo intero ti ha voltato le
spalle.
Una persona felice non piace a nessuno, perché la persona felice ferisce l’ego degli altri.
Gli altri cominciano a pensare: “Ah, è
così! Tu sei felice e noi stiamo ancora brancolando nel buio,
nell’inferno, nell’infelicità. Come osi essere felice, mentre noi tutti
siamo immersi in tanta infelicità?”
Naturalmente il mondo è costituito da
persone infelici e nessuno è abbastanza coraggioso da contrapporsi al
mondo intero; è troppo pericoloso, troppo rischioso. È meglio
aggrapparsi all’infelicità, in questo modo si continua a far parte della
folla. Sei felice: sei un individuo; sei infelice: fai parte della
folla – hindu, maomettani, cristiani, indiani, arabi, giapponesi.
Felice? Sai cos’è la felicità? È forse hindu, cristiana o maomettana?
La felicità è semplicemente
felicità. Ti senti trasportato in un altro mondo. Non fai più parte del
mondo che la mente umana ha creato; non fai più parte del passato, di
quella storia abnorme. Non fai neppure più parte del tempo. Quando sei
realmente felice, beato, per te il tempo e lo spazio scompaiono.
Albert Einstein diceva che in passato
gli scienziati avevano pensato che esistessero due realtà – lo spazio e
il tempo. Egli invece ha dichiarato che queste due realtà non sono altro
che due aspetti di un’unica realtà. Di conseguenza, ha coniato il
termine spaziotempo – una parola sola. Il tempo non è altro che la quarta dimensione dello spazio.
Einstein non era un mistico, altrimenti
avrebbe introdotto anche la terza realtà – il trascendente – che non è
né tempo né spazio. Realtà che pure esiste – io la chiamo “il testimone”. In presenza di queste tre realtà, siete in presenza dell’intera trinità.
Avete il concetto completo della trimurti – le tre facce di Dio. E
avete tutte e quattro le dimensioni. La realtà è quadridimensionale –
tre dimensioni sono dello spazio e la quarta dimensione è il tempo.
Ma esiste anche qualcos’altro, che non
può essere definita la quinta dimensione perché non è la quinta realtà –
è il Tutto, il trascendente. Quando sei beato, ti immergi nel trascendente. Non è frutto della società, né della tradizione – non ha assolutamente nulla a che fare con la mente umana.
mercoledì 7 dicembre 2016
Paura di vivere
(Immagine presa dal web) |
Oggi viviamo in una società caratterizzata da un'elevata tecnologia e
possibilità di comunicare con ogni parte del mondo a tempo di record.
Ogni cosa sembra evolvere, almeno a livello tecnologico. A livello
umano, però, si può constatare quella che io definisco "paura di
vivere".
La paura di vivere nasce in quelle persone che non riescono a staccarsi
dalle esperienze passate e continuano a prenderle come esempio per
vivere le esperienze future non sapendo che, così facendo, terranno in
Vita il passato senza avere, per ciò stesso, la possibilità di fare
esperienze nuove e costruttive che possano consentire loro di vivere e
gioire della Vita QUI E ORA.
La paura di vivere nasce e si mantiene in Vita nel soggetto che la
possiede, a causa della mancata elaborazione dell'esperienza che ha
vissuto nel passato. Quando non si riesce a dare un significato
costruttivo ad un'esperienza passata, più o meno traumatica, si smetterà
da quel momento stesso di vivere e si cercherà, per evitare di soffrire
in futuro, di congelare tutte le sensazioni e le emozioni legate
all'evento vissuto e mai superato.
La Vita andrebbe vissuta in totale libertà e in assenza di aspettative.
Ma ciò spesso non è possibile per fattori che possono dipendere da noi
stessi o da chi si prende cura del nostro processo educativo. Quando si
rimane legati al passato e ad un evento doloroso vissuto in un'epoca
precedente all'ADESSO, sarà naturale sviluppare una paura della Vita e
uno stato di disagio che non permetterà di vivere il QUI E ORA.
Bisogna avere il coraggio di voltare pagina, smettendo di confrontare
ogni accadimento con l'esperienza vissuta in passato, altrimenti si
rischia di morire prima di morire. Infatti, congelando le emozioni
piuttosto che affrontarle ed evitando le esperienze per paura di
rivivere il lutto, l'abbandono, la rabbia o qualsiasi altra emozione che
ci tiene ancora legati ad eventi passati, non faremo altro che vivere
con paura la Vita.
Poiché, però, la paura è l'opposto dell'amore, non riusciremo a sentirci
vivi e gioiosi ma, lungi da tutto ciò, creeremo un clima di ostilità e
tensione intorno a noi in quanto il pensiero crea la realtà, sempre! Per
guarire dalla paura di vivere bisogna aprirsi all'amore che è, come ho
già detto prima e non mi stancherò mai di ripetere, l'opposto della
paura.
Per vivere nell'amore bisogna perdonare il passato capendo al contempo
che, se si vuole davvero voltare pagina, occorrerà perdonare se stessi e
gli altri per potersi finalmente staccare dagli eventi accaduti in
un'epoca precedente l'ADESSO. Bisogna capire che non esiste altro
momento al di là del QUI E ORA e tutto si realizza nell'ETERNO ISTANTE.
La paura di vivere ci porta lontani da Dio, rendendoci nemici della
Vita. Per fare pace con la Vita occorre avere il coraggio di voltare
pagina cominciando, al contempo, a lavorare su di sé per poter
trasformare la paura in amore. Per trasformare la paura in amore, però,
occorrerà prima amare il proprio passato. Per amare il proprio passato,
bisogna prima imparare da esso: solo così riusciremo a vedere come
un'opportunità di crescita un evento che, quando lo avevamo vissuto,
sembrava dover decretare il nostro fallimento.
Ricordiamoci sempre che ogni esperienza, quando arriva, E' UTILE E
NECESSARIA ALLA NOSTRA CRESCITA PSICHICA, FISICA E SPIRITUALE. Basta
rimanere aperti ed accoglierla senza giudicarla né averne paura. Spesso,
infatti, le esperienze si elaborano col tempo. Datevi del tempo
evitando, in ogni caso, di rimanere fermi nel passato, NON SERVE.
Non appena avrete fatto pace col passato ed avrete elaborato in maniera
corretta l'esperienza sciogliendo, al contempo, le emozioni negative
causate dalla sua errata interpretazione, potrete finalmente trasformare
quella che all'inizio era paura di vivere in AMORE PER LA VITA. Da quel
momento potrete cominciare a vivere la Vita QUI E ORA smettendo di fare
paragoni col passato in quanto esso esiste solo nelle nostre fantasie e
MAI nell'ETERNO PRESENTE.
Vincenzo Bilotta
martedì 6 dicembre 2016
Osho: Felice più di un imperatore
Un imperatore era soffocato dalle preoccupazioni. Quando le
preoccupazioni ti prendono d’assalto, lo fanno totalmente; infatti, una volta
che un guaio ha trovato il modo di entrare, gli altri seguono la stessa strada.
Chiunque permetta a un’inquietudine di possederlo inconsciamente apre la porta
a molte altre. Proprio per questo motivo le preoccupazioni arrivano sempre come
una folla! Nessuno si trova mai a dover fronteggiare un’unica ansia.
Potrebbe stupire che gli imperatori spesso anneghino nelle
preoccupazioni; anche se la verità è che solo chi si è liberato da ogni
inquietudine è un imperatore. La schiavitù dell’ansia e delle preoccupazioni è
così gravosa che tutto il potere di un imperatore non riesce a vanificarla.
Forse, proprio per questo motivo anche il potere degli imperi si esaurisce,
usurato dalle preoccupazioni.
Un uomo vorrebbe essere un imperatore, per avere il potere e
l’indipendenza che la cosa comporta. Ma alla fine, scopre che nessuno è più
impotente, dipendente e sfortunato di un imperatore; e questo perché chiunque
voglia ridurre gli altri in schiavitù, alla fine diventa schiavo degli stessi
schiavi. Qualsiasi cosa vogliamo dominare, alla fine riesce a dominarci. Per
conseguire un’indipendenza, è essenziale non solo conseguire una libertà dalla
schiavitù altrui, ma liberarsi anche dalla mentalità che tende a ridurre gli
altri in schiavitù!
Questo imperatore viveva in una schiavitù simile. Era
partito tentando di conquistare dei paradisi, ma dopo tutte le sue vittorie si
era reso conto di sedere sul trono dell’inferno. Qualsiasi cosa aveva vinto
grazie al suo ego, alla fine si era dimostrata essere un inferno; d’altra
parte, l’ego non potrà mai conquistare il paradiso, perché in paradiso non
esiste alcun ego.
Adesso quell’imperatore voleva liberarsi dal sé infernale
che aveva raggiunto. Purtroppo è difficile conseguire il paradiso ed è facile
perderlo, mentre è facile raggiungere l’inferno ed è difficile perderlo.
Si voleva liberare dal fuoco delle preoccupazioni, chi non
lo vorrebbe? Chi vorrebbe mai restare seduto sul trono dell’inferno? D’altra
parte, chiunque voglia sedere su un trono siederà sul trono dell’inferno.
Ricordalo: in paradiso non esiste alcun trono; semplicemente, i troni
dell’inferno, visti da lontano, sembrano i troni del paradiso.
Giorno e notte,
addormentato o sveglio, quell’imperatore lottava contro
ansie e preoccupazioni di ogni tipo. Anche se le persone con una mano si
liberano delle loro preoccupazioni, con migliaia di mani ne invitano a
profusione!
L’imperatore voleva liberarsi da tutte le preoccupazioni, ma
al tempo stesso voleva diventare un grande monarca. Forse pensava che, una
volta diventato imperatore del mondo, si sarebbe liberato da tutti i suoi
affanni: la follia dell’uomo continua ad arrivare a simili conclusioni. Ed era
per questo che ogni giorno cercava nuove regioni da dominare: ogni sera, al
tramonto del sole, non voleva che i suoi confini fossero ancora là dov’erano
all’alba! Sognava argento e respirava oro: nella vita, sogni e respiri simili
sono molto pericolosi, perché sognare argento crea catene per i propri respiri,
e respirare oro riversa veleno nella propria anima. Lo stordimento che
accompagna il vino dell’ambizione può essere solo spezzato dalla morte.
La vita dell’imperatore stava ormai tramontando, e la fine
dei suoi giorni si stava avvicinando: la morte aveva iniziato a invitarlo. La
sua forza diminuiva giorno dopo giorno, e le sue preoccupazioni aumentavano: la
sua vita era in subbuglio!
Quello che un uomo semina in gioventù raccoglie nella
vecchiaia. I semi velenosi non ti preoccupano mentre li semini, ti inquietano
soltanto quando il raccolto è maturo. Chi riesce a vedere quell’inquietudine
nei semi non li semina; una volta seminati, non ce ne si può liberare...
dovranno essere raccolti, non è possibile evitarlo!
L’imperatore era in piedi in mezzo al suo raccolto, qualcosa
che lui stesso aveva seminato. Per sfuggire a tutto ciò aveva persino pensato
di suicidarsi; però, l’avidità di essere un imperatore e la speranza di
arrivare a essere un monarca universale in futuro non gli permettevano di fare
neppure quello. Avrebbe potuto perdere la sua vita – di fatto l’aveva già
perduta – ma era al di là delle sue capacità rinunciare a essere un imperatore:
quel desiderio era la sua stessa vita, e solo desideri simili – desideri che
sembrano essere vita – la distruggono.
Un giorno, nel tentativo di liberarsi dai propri assilli,
andò a spasso su una collina verdeggiante. Ma è più difficile sfuggire le
proprie preoccupazioni che scappare perfino dalla propria pira funeraria.
Qualcuno potrebbe riuscire a sfuggire la propria cremazione, ma non le proprie
ansie e le preoccupazioni; e questo perché la pira funeraria è all’esterno e le
inquietudini sono all’interno. Qualsiasi cosa presente dentro di te ti
accompagnerà sempre: ovunque sarai, sarà al tuo fianco. Se non si cambia il
proprio sé alle radici, è del tutto impossibile sfuggire i propri affanni.
L’imperatore si ritrovò a cavalcare nella foresta.
All’improvvisò udì il suono di un flauto; qualcosa in quel suono lo fece
fermare bruscamente, e lo indusse a voltare il cavallo verso quella musica.
Nei pressi di una cascata, all’ombra di un albero, un
giovane pastore stava suonando il flauto e danzava; nelle vicinanze riposavano
le sue pecore. L’imperatore gli disse: “Sembri felice come se avessi
conquistato un regno”.
Il giovane ribatté: “Che dici? Io prego continuamente
l’esistenza di non darmi un regno! Adesso sono un imperatore, ma nessuno che
conquisti un regno resta un imperatore”.
Il re rimase stupefatto e chiese: “Dimmi, cosa possiedi che
fa di te un imperatore?”.
Il giovane rispose: “Non è con la ricchezza ma con la
libertà e l’indipendenza che si diventa un imperatore. Io non ho nulla, a
eccezione di me stesso. Io possiedo solo me stesso, e non esiste ricchezza più
grande di questa. Non riesco a pensare a nulla che un imperatore abbia e che io
non ho: possiedo occhi in grado di vedere la bellezza, ho un cuore che ama, ho
la capacità di immergermi nella preghiera. La luce che il sole mi dona non è
inferiore alla luce che dà a un imperatore, e la luce che la luna riversa su di
me non è minore di quella che riversa su un imperatore. Fiori meravigliosi
spuntano sia per me che per lui. Un imperatore mangia il suo cibo e copre il
suo corpo, io faccio lo stesso.
Dunque, cos’ha un imperatore che io non ho? Forse ha le
preoccupazioni di un monarca, ma possa Dio salvarmi da tutto ciò: una pira
funeraria è di gran lunga meglio di quelle preoccupazioni! D’altra parte, ci sono
molte cose che io ho e un imperatore non ha: la mia indipendenza, la mia anima,
la mia felicità, la mia danza, la mia musica. Io sono felice con ciò che ho,
pertanto sono un imperatore”.
L’imperatore ascoltò i punti di vista del giovane e disse:
“Mio caro, ciò che dici è giusto. Va’ e informa ogni villaggio che anche
l’imperatore conferma le tue parole”.
OSHO: CREA IL TUO DESTINO
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